
L’83% degli spagnoli non ha più fiducia nel premier
Il fascino perduto di Zapatero
Il fascino perduto di Zapatero
Zapatero, da «mago» a «improvvisatore». La Spagna non crede più nel suo capitano
L’83% degli spagnoli non ha più fiducia nel premier
Il fascino perduto di Zapatero
Zapatero, da «mago» a «improvvisatore». La Spagna non crede più nel suo capitano
MADRID — Ci si sono messe anche le agenzie di rating ad amareggiare fino in fondo la vita del presidente. Ci si sono messi pure gli ultimi sondaggi d'opinione, commissionati da un quotidiano tradizionalmente non ostile come El País, a certificare il crollo di fiducia nel capitano. E mancavano soltanto le beghe con la famiglia socialista catalana, a meno di cinque mesi dalle elezioni locali, ad alimentare un altro, inopportuno fronte caldo. Come se non bastassero 4 milioni e 600 mila disoccupati, un semestre di presidenza europea opacizzato dalle angosce finanziarie dell'Unione Europea e, non ultima, la grana con l'Irlanda del nord per la fuga di Iñaki de Juana Chaos, storico esponente dell'Eta del quale la giustizia spagnola aspettava l'estradizione
Solo contro quasi tutti, il premier socialista José Luis Rodriguez Zapatero, si riunirà domani — per la prima volta nell'ultimo anno e mezzo — con il leader dell' opposizione, il popolare Mariano Rajoy, che comunque non naviga in acque migliori. Parleranno della tragedia greca e, probabilmente, di quella portoghese; ma non potranno nascondersi le rispettive sventure politiche. Rajoy non ha la responsabilità del comando, però è malvisto dai suoi stessi elettori perlomeno quanto il capo del governo dal resto di Spagna.
La squadra del Partito Popolare si dà da fare per cavalcare il pubblico malcontento sull'operato del consiglio dei ministri, accusando il presidente di «immobilismo loquace», per dirla con il portavoce al Senato, Pio García Escudero. E diffondendo insinuazioni sul patrimonio personale del presidente della Camera, José Bono. Ma la verità è che quasi nessuno, nel paese, ritiene che l'opposizione possa fare meglio alla Moncloa, vincendo le elezioni. Come potrebbe vincerle, se si celebrassero ora, a 22 mesi dalla scadenza della legislatura.
A metà del guado, Zapatero ha una priorità: restituire un briciolo di ottimismo alla Spagna, un dato positivo, uno solo, che non sia unicamente una promessa, tipo la riduzione del deficit al 3% entro il 2013. O che non sia un'opinione, come l'inizio della ripresa, mentre la Standard & Poor semina dubbi sulla solvibilità del debito spagnolo. Gli economisti, persino quelli meno vicini al governo, come Fernando Fernandez, consulente per 5 anni del Fondo Monetario Internazionale, oltre che del Banco Santander, e docente alla IE Business School di Madrid, sono meno catastrofici. «Al 60%, il governo farà il minimo indispensabile per mantenere il debito al livello corrente, intervenendo sempre un po' in ritardo. E senza riuscire ad abbassare il tasso di disoccupazione sotto il 16%. Una languida sopravvivenza», la definisce Fernandez. Pur non escludendo neppure «un 10% di possibilità che la Spagna abbandoni l'euro, suicidandosi, o che al contrario sorprenda l'Europa con un nuovo miracolo, grazie a una rigorosa riforma del mercato del lavoro, del sistema fiscale, delle pensioni e delle casse di risparmio ». Ma è un'ipotesi cui non concede più del 30% di probabilità.
L'elettorato è più severo. L'81% degli intervistati da Metroscopia per El País, boccia le misure adottate dal governo per fronteggiare la crisi economica. Anche se il 62% non pensa che l'Unione Europea se la sia cavata meglio. Ma la pessima notizia per il Psoe è che il 64% dei suoi votanti mette in mora le strategie del consiglio dei ministri. Per l'87% degli spagnoli, non c'è ancora luce in fondo al tunnel e le possibilità di un contagio della nefasta influenza greca è paventato dal 50% dei consultati. La popolarità di Zapatero è ancora più bassa di quella del suo governo: l'83 % degli interpellati è convinto che sia un improvvisatore e il 77% ha perso quasi completamente la fiducia in lui. Rajoy non ha saputo approfittarsene: quasi metà dei suoi elettori, il 49%, è altrettanto scettica sulle sue capacità e l'81% continuerebbe a votarlo soltanto per fedeltà al Pp. E per togliere il potere ai socialisti, ai quali resta l'appoggio del 59% dei suoi simpatizzanti del 2008.
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Il primo test elettorale importante sarà in autunno, in Catalogna, antico feudo del Psoe che governa sia la Generalitat sia il comune di Barcellona. Ma, a seminare zizzania tra i socialisti al governo centrale e quelli della Comunità Autonoma, c'è la sentenza ancora pendente del Tribunale Costituzionale sullo Statuto d'autonomia, che nel preambolo definisce la Catalogna una nazione. In difesa dello Statuto, i socialisti catalani si compattano con i partiti indipendentisti. Ma Zapatero ha già escluso cambiamenti alla legge costituzionale e chiesto fedeltà alle istituzioni, pur rischiando l'emorragia di consensi in Catalogna e un feroce conflitto famigliare in casa socialista. Elisabetta Rosaspina
Elisabetta Rosaspina
Il fascino perduto di Zapatero
Zapatero, da «mago» a «improvvisatore». La Spagna non crede più nel suo capitano
MADRID — Ci si sono messe anche le agenzie di rating ad amareggiare fino in fondo la vita del presidente. Ci si sono messi pure gli ultimi sondaggi d'opinione, commissionati da un quotidiano tradizionalmente non ostile come El País, a certificare il crollo di fiducia nel capitano. E mancavano soltanto le beghe con la famiglia socialista catalana, a meno di cinque mesi dalle elezioni locali, ad alimentare un altro, inopportuno fronte caldo. Come se non bastassero 4 milioni e 600 mila disoccupati, un semestre di presidenza europea opacizzato dalle angosce finanziarie dell'Unione Europea e, non ultima, la grana con l'Irlanda del nord per la fuga di Iñaki de Juana Chaos, storico esponente dell'Eta del quale la giustizia spagnola aspettava l'estradizione
Solo contro quasi tutti, il premier socialista José Luis Rodriguez Zapatero, si riunirà domani — per la prima volta nell'ultimo anno e mezzo — con il leader dell' opposizione, il popolare Mariano Rajoy, che comunque non naviga in acque migliori. Parleranno della tragedia greca e, probabilmente, di quella portoghese; ma non potranno nascondersi le rispettive sventure politiche. Rajoy non ha la responsabilità del comando, però è malvisto dai suoi stessi elettori perlomeno quanto il capo del governo dal resto di Spagna.
La squadra del Partito Popolare si dà da fare per cavalcare il pubblico malcontento sull'operato del consiglio dei ministri, accusando il presidente di «immobilismo loquace», per dirla con il portavoce al Senato, Pio García Escudero. E diffondendo insinuazioni sul patrimonio personale del presidente della Camera, José Bono. Ma la verità è che quasi nessuno, nel paese, ritiene che l'opposizione possa fare meglio alla Moncloa, vincendo le elezioni. Come potrebbe vincerle, se si celebrassero ora, a 22 mesi dalla scadenza della legislatura.
A metà del guado, Zapatero ha una priorità: restituire un briciolo di ottimismo alla Spagna, un dato positivo, uno solo, che non sia unicamente una promessa, tipo la riduzione del deficit al 3% entro il 2013. O che non sia un'opinione, come l'inizio della ripresa, mentre la Standard & Poor semina dubbi sulla solvibilità del debito spagnolo. Gli economisti, persino quelli meno vicini al governo, come Fernando Fernandez, consulente per 5 anni del Fondo Monetario Internazionale, oltre che del Banco Santander, e docente alla IE Business School di Madrid, sono meno catastrofici. «Al 60%, il governo farà il minimo indispensabile per mantenere il debito al livello corrente, intervenendo sempre un po' in ritardo. E senza riuscire ad abbassare il tasso di disoccupazione sotto il 16%. Una languida sopravvivenza», la definisce Fernandez. Pur non escludendo neppure «un 10% di possibilità che la Spagna abbandoni l'euro, suicidandosi, o che al contrario sorprenda l'Europa con un nuovo miracolo, grazie a una rigorosa riforma del mercato del lavoro, del sistema fiscale, delle pensioni e delle casse di risparmio ». Ma è un'ipotesi cui non concede più del 30% di probabilità.
L'elettorato è più severo. L'81% degli intervistati da Metroscopia per El País, boccia le misure adottate dal governo per fronteggiare la crisi economica. Anche se il 62% non pensa che l'Unione Europea se la sia cavata meglio. Ma la pessima notizia per il Psoe è che il 64% dei suoi votanti mette in mora le strategie del consiglio dei ministri. Per l'87% degli spagnoli, non c'è ancora luce in fondo al tunnel e le possibilità di un contagio della nefasta influenza greca è paventato dal 50% dei consultati. La popolarità di Zapatero è ancora più bassa di quella del suo governo: l'83 % degli interpellati è convinto che sia un improvvisatore e il 77% ha perso quasi completamente la fiducia in lui. Rajoy non ha saputo approfittarsene: quasi metà dei suoi elettori, il 49%, è altrettanto scettica sulle sue capacità e l'81% continuerebbe a votarlo soltanto per fedeltà al Pp. E per togliere il potere ai socialisti, ai quali resta l'appoggio del 59% dei suoi simpatizzanti del 2008.
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Il primo test elettorale importante sarà in autunno, in Catalogna, antico feudo del Psoe che governa sia la Generalitat sia il comune di Barcellona. Ma, a seminare zizzania tra i socialisti al governo centrale e quelli della Comunità Autonoma, c'è la sentenza ancora pendente del Tribunale Costituzionale sullo Statuto d'autonomia, che nel preambolo definisce la Catalogna una nazione. In difesa dello Statuto, i socialisti catalani si compattano con i partiti indipendentisti. Ma Zapatero ha già escluso cambiamenti alla legge costituzionale e chiesto fedeltà alle istituzioni, pur rischiando l'emorragia di consensi in Catalogna e un feroce conflitto famigliare in casa socialista. Elisabetta Rosaspina
Elisabetta Rosaspina